Con un’ultima ordinanza della Corte di Cassazione – sezione Lavoro – del 07.05.2020 n. 8627 vengono confermate, ancora una volta, le condizioni per la retribuzione del c.d. tempo tuta.
Per “tempo tuta” si intende il tempo utilizzato dal lavoratore, prima dell’inizio e dopo la fine del turno, per indossare e dismettere gli indumenti di lavoro, abbigliamento di servizio (camici, divise, dispositivi di protezione individuali etc…).
L’ordinanza citata prende in esame il caso d’infermieri dipendenti di un’ASL i quali richiedevano che fosse considerato come compreso nell’orario di lavoro e, quindi, che fosse retribuito il “ tempo tuta” all’inizio ed alla fine del turno, calcolato in venti minuti complessivi.
Già precedenti Sentenze di Cassazione (tra le molte, Cass n. 17635/2019, 3901/2019; 12935/2018; 27799/2017) stabilivano che
l’attività di vestizione attiene a comportamenti integrativi dell’obbligazione principale ed è funzionale al corretto espletamento dei doveri di diligenza preparatoria e costituisce, altresì, attività svolta non (o non soltanto) nell’interesse dell’Azienda, ma dell’igiene pubblica, imposta dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene.
Anche nel silenzio della Contrattazione Collettiva integrativa, detto tempo da’ diritto alla retribuzione anche per la funzione assegnata all’abbigliamento che i lavoratori sono obbligati ad indossare, in virtù di superiori esigenze di sicurezza ed igiene ed attinenti alla gestione del servizio pubblico ed alla stessa incolumità del personale addetto.
Si sottolinea inoltre che, la retribuzione autonoma del “tempo tuta” è dovuta anche in considerazione del fatto che
In ultimo si rileva che pochi mesi prima di questa ordinanza già il Ministero del Lavoro con risposta all’interpello n. 1 del 23.03.2020 prot. 4831 ha affermato che