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Induzione alle dimissioni con minacce

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E’ imputabile per il reato previsto e punito dall’articolo 612 c.p. (reato di minaccia) chiunque proferisca nei confronti di un’altra persona parole e frasi minacciose di un danno ingiusto.

Il 15 febbraio 2019 la Sentenza della Corte di Cassazione Penale n. 7225 ha confermato la sussistenza del reato di cui all’art. 612 c.p., in capo al datore di lavoro il quale con minacce ha prospettato la limitazione dei diritti fondamentali della lavoratrice qualora la stessa non avesse rassegnato le proprie dimissioni.

Libertà personale del lavoratore

La libertà personale del lavoratore, nel rapporto di lavoro, si esplica anche nella possibilità di rassegnare le proprie dimissioni in qualsiasi momento e senza coercizione. Rimane fermo l’obbligo di lavorare i giorni preavviso fatta salva diversa pattuizione con il datore di lavoro ovvero dell’ipotesi di dimissioni per giusta causa.

Nel corso degli anni, giurisprudenza prima e legislatore poi, hanno cercato di tutelare sempre di più il lavoratore per l’esercizio libero delle dimissioni. Si è voluto combattere il fenomeno delle “dimissioni in bianco” richiedendo la convalida telematica (art. 26 D.Lgs. n. 151/2015). Al tempo stesso, però, non si è messa in atto una specifica disciplina a tutela del lavoratore rispetto ai possibili atti intimidatori del datore di lavoro finalizzati all’ottenimento delle dimissioni.

Annullamento dimissioni se indotte da minacce

Anche senza una specifica normativa in questo senso a tutela del lavoratore, la giurisprudenza ha fatto propri dei principi generali dichiarando l’annullamento delle dimissioni se indotte da minacce esplicite o implicite del datore di lavoro. In queste occasioni veniva riconosciuta la violenza morale sul lavoratore.

Nell’ipotesi di specie alla lavoratrice è stato prefigurato un nocumento qualora la stessa non avesse rassegnato le proprie dimissioni.

Come anticipato in premessa, la Cassazione ha affrontato un caso in cui una lavoratrice ha richiesto una pronuncia contro il suo datore di lavoro per il reato di minacce perpetrato nei suoi confronti affinché la stessa rassegnasse la proprie dimissioni. Nel corso del giudizio è emerso che il datore di lavoro avesse sollevato delle minacce di atti persecutori verso la lavoratrice con parole di questo tono:

ti conviene licenziarti…se rimani diventerò cattivo, non ti darò tregua, non ti lascerò andare in bagno e neanche a fumare una sigaretta.

Con tali gravi frasi sono stati limitati i diritti della lavoratrice personali e morali.

Preannunciare un’azione persecutoria basata su pressioni psicologiche e limitazioni al diritto alla salute configura il reato di minacce in quanto vengono messi in pericolo non solo la libertà personale della dipendente ma anche la sua libertà psichica.

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