Contratto di lavoro a termine dopo il decreto legge 87/2018

Contratto di lavoro a termine

Contratto di lavoro a termine dopo il decreto legge 87

Il cd. “Decreto Dignità” (D.l. n. 87 del 12 luglio 2018, recante “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”) è stato convertito dalla L. 96/2018 pubblicata in Gazzetta Ufficiale l’11 agosto 2018. Tra le materie toccate dal decreto in esame, assumono particolare rilevanza le modifiche e novità apportate alla contrattazione a tempo determinato per la quale si segnalano importanti novità con riferimento alla durata massima ed alla c.d. “causalità”.

Termine massimo contratto a tempo determinato

Il termine massimo di durata di un contratto a tempo determinato è stato ridotto a 24 mesi (rispetto ai precedenti 36 mesi – cfr. art. 19 D.lgs 81/2015 come novellato) da intendersi valevole sia per un solo contratto di lavoro che per una pluralità di contratti di lavoro tra le stesse parti. Solo la contrattazione collettiva di ciascun settore ha la possibilità di prevedere un termine di durata superiore a 24 mesi (cfr. art. 19, comma 2, D.lgs 81/2015 come novellato) a condizione che siano rispettate le causali per le quali si ricorre a tale forma di rapporto di lavoro. Proprio con riferimento alle predette causali, la normativa attualmente in vigore conferma quanto già previsto dalla L. 92/2012 (Legge Fornero) circa la facoltà di stipulare un primo contratto a tempo determinato svincolato da una precisa e definita causalità a condizione che abbia una durata inferiore ai 12 mesi.

Obbligo di fare ricorso alle causali giustificative

Nell’ipotesi in cui le parti si accordassero su di un contratto di durata compresa tra 12 e 24 mesi è necessaria la presenza di una delle seguenti condizioni (cfr. art. 19, comma 1 Dlgs 81/0215 come novellato):

  • a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”.

La novella legislativa ha, dunque, reintrodotto l’obbligo di fare ricorso alle causali giustificative dell’apposizione del termine al contratto di lavoro così come avveniva sotto la vigenza dell’ormai abrogato D.lgs 368/2001 quando – per la legittima apposizione del termine – era richiesta la ricorrenza di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Le causali reintrodotte, però, differiscono dalla ampia e generale formulazione di cui al citato D.lgs 368/2001 in quanto si caratterizzano per essere più stringenti e precise ma, proprio per tale motivo, possono risultare indeterminate o, comunque, di difficile applicazione.

Esigenze connesse a incrementi temporanei

Infatti, le “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività”, non sembrano essere rappresentate da un mero incremento dell’attività produttiva ma, piuttosto, a prestazioni lavorative che non siano riconducibili alle normali attività produttive del datore di lavoro e che siano, peraltro, temporanee e oggettive. Tutti requisiti estremamente difficili da individuare nelle applicazioni in concreto.
Inoltre, con riferimento alla seconda tipologia di causale e relativa alle “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”, la formulazione utilizzata dal legislatore sembra rendere non utilizzabile il contratto a termine superiore a 12 mesi in tutti quei settori in cui gli incrementi di attività risultino ciclici e quindi caratterizzati da una certa prevedibilità.

Anche con riferimento al regime delle proroghe dei contratti di lavoro a tempo determinato si osserva come la novella legislativa abbia determinato una riduzione (sempre nell’ambito del limite massimo previsto di 24 mesi totali) da 5 a 4 (cfr. art. 21, comma 1, D.lgs 81/2015 novellato) mantenendo fermo il limite dei 12 mesi per la c.d. “acausalità”; una volta superati i 12 mesi di durata occorre la sussistenza di una delle motivazioni causali sopra descritte.

Il caso dei rinnovi contrattuali

La novella legislativa in esame non ha, invece, toccato la materia dei rinnovi contrattuali e, pertanto, sono rimaste intatte le prescrizioni originarie di cui al D.lgs 81/2015 che si rammentano brevemente (cfr. art 21, comma 2, D.lgs 81/2015): il rinnovo non può intervenire prima che siano decorsi 10 giorni dalla scadenza del termine, quando il contratto abbia avuto durata fino a 6 mesi, aumentati a 20 giorni ogniqualvolta la durata del rapporto sia stata superiore al predetto termine semestrale: in caso di inosservanza di tali intervalli, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di stipulazione.

L’unico elemento di novità è rinvenibile nella circostanza che il rinnovo può essere stipulato “solo a fronte delle condizioni” sopra esaminate, anche nel caso – a differenza di quanto avviene per la proroga – in cui il rinnovo intervenga entro i primi 12 mesi di durata del rapporto. Le medesime considerazioni possono essere svolte per quel che concerne la forma del contratto a tempo determinato che rimane vincolata all’ ”atto scritto” con l’obbligo di consegna al lavoratore nei 5 giorni successivi all’inizio della prestazione lavorativa (con la sola eccezione dei contratti di durata non superiore a 12 giorni). Ulteriori novità si segnalano con riferimento alle conseguenze sanzionatorie relative alla violazione della normativa – complessivamente intesa – posta a regolamentare l’apposizione del termine al contratto di lavoro. In primo luogo si segnala come in ipotesi di stipulazione di un contratto di durata iniziale superiore ai 12 mesi in assenza delle condizioni previste dalla norma, ovverosia quando non sussistano le causali richieste dalla legge, il contratto si trasforma a tempo indeterminato “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”.

Quando il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato

In secondo luogo si rileva come in ipotesi di insussistenza di una valida causale per la proroga che porti la durata del contratto a superare i 12 mesi ovvero per il rinnovo del medesimo contratto, “il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato”. (pur senza esplicitazione della data dalla quale la trasformazione produce effetto).

La normativa sui contratti a tempo determinato come sopra esposta ha una portata applicativa caratterizzata da un doppio regime:

  • Ai contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto legge (14 luglio 2018) si applicano interamente le “vecchie” disposizioni contenute nel cd. “Jobs Act” (D.Lgs. n. 81/2015), nella “originaria” versione;
  • Ai contratti stipulati dopo il 14 luglio 2018 si applica il “nuovo” regime previsto dal decreto legge.

Quanto, invece alla disciplina delle proroghe e dei rinnovi dei contratti a tempo determinato il regime è, invece, triplo:

  • Le proroghe e i rinnovi che sono intervenuti tra la data di entrata in vigore del decreto legge (14 luglio 2018) e la data di entrata in vigore della legge di conversione (11 agosto 2018) sono disciplinati dal decreto legge medesimo;
  • Le proroghe e i rinnovi che siano intervenuti tra l’11 agosto 2018 ed il 31 ottobre 2018 sono soggetti alla disciplina contenuta nel “Jobs Act”, nella sua “originaria” formulazione;
  • Le proroghe e i rinnovi intervenute successivamente al 1° novembre 2018 saranno disciplinati dalle “nuove” previsioni normative contenute nel decreto legge, così come modificate e/o integrate dalla relativa legge di conversione.

Infine, si segnala come la normativa in esame ha novellato anche il termine previsto per impugnare la clausola temporale apposta al contratto di lavoro che viene aumentato sino a 180 giorni (rispetto ai precedenti 120 giorni).

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